Germana Marucelli,
stilista e sarta, è stata l’antesignana di quella moda italiana divinamente
slegata dai dettami e delle influenze d’oltralpe. Una moda che rifletteva -
e riflette tuttora – quelle caratteristiche inconfondibili quali artigianalità,
savoir-faire, stile, raffinatezza e qualità, combinate con aspetti più pratici
e confortevoli che consentono di sposare situazioni informali con il medesimo
glamour destinato alle circostanze più rigorose e formali.
Insieme
ad Elsa Schiaparelli è stata fra i pochi a cogliere la necessità di uno
stretto rapporto tra moda e arte, tanto da essere arruolata ufficialmente
nella compagine che il 12 febbraio 1951 prese parte alla celeberrima sfilata
della Sala Bianca, organizzata da Giovanni Battista Giorgini. Germana Marucelli
vi partecipa forte della sua tradizione ed esperienza sartoriale: il suo
atelier milanese, infatti, poteva vantare già una certa celebrità,
rappresentando non solo un luogo di moda e alla moda, ma anche un salotto
artistico-letterario, crocevia di personaggi e cultura, dove il giovedì si
riunivano poeti come Quasimodo e Montale, gli intellettuali più in vista del
momento, architetti estrosi e versatili come Giò Ponti, pittori del calibro di
Savino, Casorati, Gentilini e Campigli.
Donna dal profilo
battagliero, intraprendente e determinata, ferma nelle sue idee e impermeabile
alle correnti della moda spettacolo, aveva una passione smodata per le
contaminazioni artistiche, reputandole alla base di una resa
formale perfetta e, al tempo stesso, lungimirante, che sapesse quindi spingersi
oltre la realtà apparente per scovare il significato più profondo di stili,
tendenze, reminiscenze e tradizioni. Un amore respirato ed ereditato dalla
famiglia, essendo figlia d’arte: la madre sarta a Settignano (suo paese natio),
la zia Failla sarta famosa a Firenze. Da entrambe trasse insegnamenti e
ispirazioni, lavorando nelle rispettive botteghe. In seguito è stata anche
modellista, acquistando modelli e tele a Parigi per rivenderli alle sartorie
italiane. Aveva un occhio e una memoria infallibili, grazie ai quali realizzava
creazioni uniche sulla base di altre già esistenti.
Nel 1938 si trasferì a
Milano, dopo aver diretto la sartoria Gastaldi di Genova e aprì un piccolo
atelier in via Borgospesso, da cui però dovette sfollare a causa dei
bombardamenti. Vi ritornò nel 1945, consolidando la propria
visione dell’abito, che per lei divenne una vera e propria architettura,
quintessenza di pittura (per il colore) e scultura (per la forma), in perfetta
armonia con la donna persona.
Complice
il fermento artistico del quale adorava circondarsi, nel 1947 con fervida
lungimiranza anticipò il New Look, lanciato in seguito da Fath e Dior, e
più tardi la linea Pannocchia, ossia il sacco parigino. Supportata
dall’industriale Franco Marinotti, fondatore della Snia Viscosa, rilevò mura e
archivio della storica sartoria milanese Ventura. Proprio in questi anni
consolidò la sua alleanza con l’arte, entrando in contatto con personaggi del
calibro di Capogrossi, Zuffi e Alviani: alle loro sperimentazioni
cinetico-visuali si ispirò per abiti a corazza e a scudo, realizzati in
leggero alluminio, anticipando così, ancora una volta, la moda che verrà e, in
particolare, quella di Paco Rabanne. Un’alleanza di ispirazioni ma anche di
lavoro: ogni collezione risultò essere la perfetta combinazione tra arte
rinascimentale e avanguardia. Dalla linea Impero (1951) che guardava a
Botticelli a quella Fraticello che puntava l’attenzione sulle delicate cromie
del Beato Angelico, era un continuo andirivieni di reminiscenze artistiche e di
costume, in un’armonica alternanza di valorizzazione e validazione. Un’arte a
tuttotondo, che influenzò la sua moda in maniera inequivocabile: nel 1968 fu la
volta della scultura e in particolar modo di Manzù, chiamato a dare suggestioni
per la linea Vescovo. E poi ancora Mirò e Picasso per la collezione Astratta.
Germana
Marucelli è stata una delle poche persone in grado di ideare, progettare e
creare seguendo un fil rouge capace
di coniugare, in un clima vivace come quello dell’epoca, ricerca intellettuale,
pensiero e messaggio estetico. Negli anni ’70, quando Milano divenne capitale
del prêt-à-porter,
la sua creatività, singolare e universalmente riconosciuta, cominciò ad
annebbiarsi di un alone di esclusività e di elitaria solitudine: la sua arte
era troppo pura e autentica per poter mantenere e seguire il ritmo frenetico di
quegli anni, la mutevolezza di sfilate e collezioni e il tamtam frenetico di
una dispersione consumistica che non consentiva di soffermarsi sui dettagli
salienti di un capo. Germana Marucelli, però, non abbandonò mai la sua
vocazione, rafforzando la ricerca di tutte le possibili contaminazioni tra arte e moda e realizzando
abiti in perfetta sintonia con la persona, quintessenza di stile, creatività e
cultura.
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