giovedì 22 dicembre 2011

STYLE_Liberiamo la cravatta! Parola di Hermès




Simbolo per antonomasia dell’eleganza maschile, fatta di quello splendido e luminoso tessuto qual è la seta, pronta ad adempiere il suo dovere stiloso cingendo colli si stima in ben 85 modi diversi, la cravatta deve le sue origini –almeno etimologiche – ai nostri cugini d’Oltralpe, i quali, a loro volta, si sono spinti fino all’anticamera dei Balcani e per la precisione in Croazia. Il termine cravatta, infatti, deriva dal francese cravate che a sua volta strizza l’occhio al croato hrvat che, senza bisogno di sforzi fantasiosi, significa per l’appunto croato. I cavalieri croati assoldati da Luigi XIV portavano infatti al collo una sciarpa, originariamente apostrofata come sciarpa croatta, abbreviata poi in croatta e quindi in quella giunta sino ai giorni nostri come cravatta. Vantando una confluenza culturale e storica non indifferente, si è imposta nel tempo come un accessorio quotidiano di un look maschile spesso sinonimo di businessman affermato piuttosto che di manager rampante dall’allure molto Wall Street, contaminandosi così di espliciti riferimenti sociali – alle volte classisti - ma pur riuscendo a mantenere inalterato il suo nobile spirito. Che sia in tinta unita, a righe (familiarmente nonché impropriamente nota come Regimental - appellativo appannaggio in verità di cravatte caratteristiche di uno specifico reggimento o club, tipico della tradizione anglosassone), a pois o in fantasia, la cravatta denota tutto il suo fascino per merito della preziosità del tessuto con cui è realizzata - nella maggior parte dei casi bellissime sete made in Como, ça va sans dire – nonché per il modo in cui è annodata: una vera e propria prova del nove che non poche volte mette in crisi uomini più o meno navigati. Il nodo, infatti, molto dice e del tessuto e quindi della sua tendenza o meno a seguire le pieghe, ma ancor più del gusto stesso della persona che la indossa, accennando o la naturale inclinazione al buon stile o la sforzata – e pertanto ostentata – ricerca di perfezione, che purtroppo altro non produce se non risultati in netta controtendenza rispetto a quelli sperati. E qui dottrina docet in fatto di nodi, svelando fenomeni di costume degni di nota nonché interventi di personalità di altissimo livello, celati spesso dietro nomi curiosi e implicanti una manualità sempre più abile nell’annodarla, con la seta che gira e rigira su se stessa, al ritmo delle note di un valzer di Strauss: Four-in-hand (ovvero il nodo semplice, diffusissimo oggi come allora, realizzato in quattro passaggi e derivante dall’omonimo club londinese del XIX secolo); Mezzo Windsor (sei passaggi, una versione meno corposa del Windsor); St. Andrew (sette passaggi, caratterizzato dalla particolare sporgenza della cravatta dal collo prima che ricada sul petto); Windsor (otto passaggi, assai popolare negli anni ’30 quando il duca di Windsor, per l’appunto, cominciò a prediligere nodi piuttosto voluminosi); Balthus (nove passaggi, a firma dell’omonimo pittore surrealista del ‘900). Da qui in poi un’immensa distesa di gestualità sempre più disinvolte che, con tanto di modelli matematici alla mano, sono state classificate in un totale di 85 possibili tecniche. Provare per credere verrebbe da dire. E se per Oscar Wilde “Una cravatta bene annodata è il primo passo serio nella vita” (giusto per riallacciarci all’importanza del nodo), nel non lontano 2009 la maison Hermès promuove, scrive e diffonde via web un ironico e provocatorio – ma in fondo serio e motivato – “manifesto per la liberazione della cravatta”. Con una serie di motti a effetto che sorridono maliziosamente a quelli ben più noti del Sessantotto, la maison si fa portavoce di questo accessorio e delle sue legittime rivendicazioni, dotandolo in un certo qual modo di personalità propria e affrancandone lo spirito. “A partire da oggi” – questo l’incipit del manifesto – “una cravatta è innanzitutto una cravatta”. E i suoi diritti, così come vengono elencati, sono: “1. Il diritto al paradosso; 2. Il diritto all’eccesso; 3. Il diritto di scegliere la propria larghezza; 4. Il diritto al cuoio; 5. Il diritto alle falde; 6. Il diritto di rimanere bambina; 7. Il diritto di non tener conto dei diritti precedenti; 8. Il diritto di cambiare idea”. Un inno alla vita e alla libertà per un accessorio così simile a un guinzaglio. Che elimini gli stereotipi più convenzionali che lo vogliono relegato a semplice corollario di un look un peau agé. Via libera dunque alla fantasia e alle interpretazioni, anche per arrivare a cambiare opinione o addirittura a negare tutto di tutto. Condizione imprescindibile, però, mantenere intatta la propria identità, valida legittimazione di tutti i diritti enunciati sopra e unico fondamento per liberare la propria personalità nel debutto col mondo. 

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