Chi
non ricorda Grace Kelly nelle due
celebri pellicole di Alfred Hitchcock “La
finestra sul cortile” (1954) e “Caccia
al ladro” (1955)? In entrambe il
regista inglese teorizza il suo modello di bellezza femminile: bionda, glaciale
in superficie ma vulcanica nell’istinto, sofisticata nell’aspetto ma brillante
nell’ironia. Qualità personificate dall’attrice in un mix di classe
naturale e allure aristocratico. Assi
nella manica accessori costosi (la Kelly bag di Hermès in primis), bijoux sobri
e preziosi twin set.
Principe di uno stile elegante e lussuoso,
dalla semplicità regale, il twin set è un accordo di due capi in maglia, dello
stesso colore e filato, il primo una maglietta solitamente con le maniche
corte, il secondo un golfino da chiudere con asole e bottoni. Progenie
diretta degli scaldaspalle tricottati dalle donne contro il freddo delle notti
invernali, assume l’aspetto attuale nel
1918. Sono gli anni ’30, però, a
dargli una paternità griffata grazie all’ingegno di Otto Weisz, stilista di
Pringle of Scotland. Negli anni ’50
il suo charme diviene di moda - complice l’adorazione di grandi dive come Grace
Kelly, Lauren Bacall, Deborah Kerr e Margot Fontayn. Le signore per darsi un tono lo abbinano al filo di perle, mood ripreso
dopo oltre mezzo secolo da Bree Van De Kamp/Marcia Cross in Desperate Housewives.
Le ragazze lo reputano fondamentale per il
guardaroba del college, come illustrato da Pringle of Scotland in una
pubblicità apparsa su Vogue nel numero di settembre del 1951 in cui madre e
figlia sono complici nella vita e nel look. Nei 60s è l’apoteosi: ogni donna deve possederlo in cashmere in un
degradé infinito di colori. Un must quelli indossati da Marella Agnelli e Tippi Hedren.
Nei
70s, quasi risentendo dell’atmosfera new hippy e della contestazione femminile,
il cardigan si arricchisce di ricami e
disegni jacquard, a scapito della semplicità pulita che tanto lo
caratterizza. Proprio in questi anni Pringle
of Scotland trova un diretto concorrente in Ballantyne - anch’esso scozzese
- il cui twin set, indossato da Jackie
Kennedy durante una passeggiata a cavallo, diviene un must have.
In rotta di collisione con l’ostentazione e
l’opulenza degli anni ’80, l’immagine del twin set si appanna inevitabilmente e
a tal punto da essere codificato come il capo di zie e zitelle. Ma una
seconda giovinezza è all’orizzonte e nell’ultimo
ventennio riacquista il suo antico splendore, complice una liaison amoureuse
con il cinema: magnifico con Scarlett
Johansson in “Black Dalia”
(2006), dalle dolci sfumature per Reese
Witherspoon in “Pleasantville”
(1998), bon-ton quello di Mag Ryan
in “C’è post@ per te” (1998), comodo
e nelle tinte pastello per la poetessa statunitense Sylvia Plath/Gwyneth Paltrow in “Sylvia” (2003). Passando per l’austerità di quello indossato da Helen Mirren in “The Queen – La Regina” (2006) e il tripudio ostentato di “capi
gemellati” nel prestigioso college di Wellesley del film “Mona Lisa Smile” (2003) dove la professoressa d’arte Katherine Ann Watson/Julia Roberts
esorta le sue allieve a riscattare il ruolo di moglie imposto dalla società
dell’epoca.
Con il twin set la maglieria si tinge di
note eleganti, divenendo un capo complementare nel guardaroba di signore très
chic. E se è vero, come afferma Suzy Menkes, che esso è il segnale che le donne di potere non devono più provare la loro
forza vestendo abiti dalle spalle imbottite come quelle degli uomini, si
faccia largo ai twin set, per gemellare eleganza e status, stile e concretezza,
nell’affermazione quotidiana di un lusso semplice ma élitario.
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