lunedì 3 dicembre 2012

LEISURE_Hollywood Costume: e l'abito fece il monaco!
















Vi sono abiti che parlano: raccontano di un’epoca, di uno stile, di mondi lontani e tempi andati. Abiti che nella loro semplice resa formale racchiudono uno scrigno di significati, di rimandi e ispirazioni, di visioni e interpretazioni. Abiti che solo alla loro vista, proiettano la mente in un passato contestualizzato e identificato a tal punto da poterlo distinguere nettamente nei meandri intricati della storia.
Perché l’abito – e quindi la moda – è cultura, è una rappresentazione figurata d’istanze e valori sociali ben definite, radicati in un popolo e consolidati nel tempo.
Ecco svelata, pertanto, la sua indubbia valenza in ambito cinematografico: contestualizzare un personaggio, caricandolo di tutte quelle particolari valenze proprie del periodo che si va a mettere in scena. Il classico caso che, per dirla tutta, smentisce una credenza ormai fondamento del pensare sociale e ci pone di fronte a una semplice, quanto disarmante, presa di coscienza: nel cinema, l’abito fa il monaco. È lui a dire, svelare, lasciar intendere, comunicare e trasmettere, a volte più delle mere battute o della scena filmica in se. Regia e sceneggiatura, quindi, si avvalgono dell’insostituibile prestazione del costumista per creare un’armonica unitarietà d’intenti nella realizzazione di una pellicola, rendendola indimenticabile nella sua interezza piuttosto che nelle sue singole scene, madri o figlie che siano. Cosa sarebbe, infatti, James Bond senza il suo celebre smoking? O ancora Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany senza il mitico tubino Givenchy? E il De Niro di Taxy Driver senza giacca di pelle e camicia a quadrettoni? La mostra Hollywood Costume, visitabile al Victoria and Albert Museum fino al 27 gennaio, racconta proprio questo: oltre cento abiti per oltre cento anni di film, per comprendere in che modo nasce un costume geniale, in linea con la scena, la storia, l’attore e il suo personaggio. Non si parla quindi tanto di moda quanto di quel particolare tipo di fenomeno che concorre a fare di un film un capolavoro. Pertanto, si va ben oltre la semplice apparenza e si arriva a una vera e propria analisi del copione, dei personaggi e del carattere dell’intera pellicola. I costumi diventano così il traino figurato attraverso il quale rendere la psiche del soggetto cinematografico, cogliendone ogni sfumatura e rendendola visibile al grande pubblico attraverso la personalità dei protagonisti che, in gran parte, corre lungo l’invisibile sentiero dei costumi indossati.
L’esposizione, quindi, non si esaurisce a una mera sfilata, ma si spinge al di là dell’apparenza, per arrivare a indagare il making of piuttosto che i risultato finale. L’allestimento già suggerisce tale finalità, abbinando agli abiti un ricco apparato fatto di estratti di copione, veri e propri studi del costumista sul personaggio e sulla storia, oltre a spezzoni di film, musiche, interviste. Per risolvere l’annoso problema di come richiamare alla memoria attore e personaggio, anziché optare per fantomatiche parrucche, si è deciso di sostituire le teste dei manichini con fotografie o monitor che ritraggono il volto, muto ma animato, protagonista. In men che non si dica al visitatore – semplice appassionato di cinema piuttosto che esperto cinefilo - saltano alla mente ruolo e pellicola. La memoria viaggia così nel fascinoso mondo della storia cinematografica, ri-scoprendo epoche e personaggi che riportano alla luce aneddoti e curiosità, come, per esempio, la mitica Rossella O’Hara di Via col vento che realizza un vestito con la tenda di casa. Da un grande classico di simile caratura, si passa a generi ben diversi, come i costumi di Figth Club, il vestaglione di ciniglia del Grande Lebowsky, il dark style della Famiglia Addams, il country di Brokeback Mountain, solo per citarne qualcuno. Fino ad arrivare ai regali costumi di Elizabeth: The Golden Age, Marie Antoinette di Sofia Coppola e Le relazioni pericolose, riuniti insieme nella sezione A Royal Romance. Si prosegue poi con l’area tematica Dialogue, dedicata a quei registi in dialogo con i costumisti: attraverso film footage, materiali d’archivio e interviste ad hoc, Alfred Hitchcock, la mitica Edith Head e Tippi Hedren raccontano i retroscena della loro collaborazione per il film Gli Uccelli; poco più avanti, Tim Burton e Collen Atwood ripercorrono, invece, le tappe del loro lavoro svolto in perenne simbiosi, da Edward Mani di forbice (1990) ad Alice in Wonderland (2010).
A seguire, una vera e propria passeggiata nella storia cinematografica, dal film muto fino ad Avatar: un viaggio nel tempo che ripercorre le caratteristiche peculiari di ogni epoca, di cui i costumi ne hanno sempre testimoniato con precisione e pertinenza le istanze più simboliche. Si comprende, così, in che modo il lavoro di costumista si sia adattato nel corso del tempo alle richieste del pubblico e agli sviluppi tecnologici dei mezzi cinematografici. Si scoprono i segreti del mestiere, racchiusi nell’utilizzo dei tessuti e dei colori quando il cinema era ancora in bianco e nero; si ricordano alcuni trionfi, come quelli squisitamente italiani di Cinecittà. Si spazia nei generi, passando dal romanticismo di Camera con vista del 1986, alle avventure di John Wayne, alle spade laser di Guerre stellari, fino ad arrivare, per l’appunto, alla nuova tecnologia della CGI (computer generated imagery), che, nonostante l’avanguardia, si serve del lavoro artigianale del costumista.
Un cammino intricato che porta alla sezione Gran Finale. Come fosse un red carpet, ma molto più affollato, o il palco di un teatro nel quale è stata rappresentata la storia del cinema hollywoodiano, ecco apparire tutti i grandi assenti, fino a quel momento, della mostra. Ecco quindi la Marylin Monroe di A qualcuno piace caldo, la Keira Knightley di Atonement, il Javier Bardem direttamente dal set di Non è un paese per vecchi, la Sharon Stone di Basic Instict, la Uma Thurman di Kill Bill; e poi, Tony Manero, Austin Power, Catwoman, l’Uomo Ragno arrampicato sul muro, Superman in volo, Batman che scruta da una balaustra. Dai grandi salvatori dell’umanità si passa a un’intrigante Nicole Kidman che si dondola sul trapezio di Moulin Rouge e a una simpatica Dorothy/Judy Garland con il suo indimenticabile vestito quadrettato e le sue scarpette rosse.
Una mostra in cui protagonista è lui - il costume – inteso nella sua accezione più sublime e rivalutato nel suo ruolo di qualificatore d’istanze e valori: un modo per comprendere in chiave romanzata il lavoro del costumista, quintessenza di ricerca storica, pazienza, precisione meticolosa, immaginazione, abilità tecnica e comprensione psicologica.

Hollywood Costume
Londra, Victoria and Albert Museum
Fino al 27 gennaio 2013 

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