lunedì 10 dicembre 2012

ABOUT_La scuola napoletana: antesignana della moda maschile






Napoli è tra le città che, a ragion veduta, ha coltivato e sviluppato il culto dell’eleganza, con tanto di schiere di devoti officianti che, nei decenni passati, l’hanno diffusa al pubblico enfatizzandone gli aspetti autentici.
Quella napoletana, però, è un’eleganza tutta particolare: l’uomo elegante partenopeo del XX secolo, infatti, appare dominato da sentimenti opposti, quali, per esempio, abbandono e ricerca, rinuncia e desiderio di sbalordire. Estremi che si attraggono per creare una predisposizione unica e particolare al senso dello stile propriamente inteso. Ecco quindi che, da un lato, emerge un masochistico compiacimento delle proprie debolezze, dall’altro, una cura raffinata – e quasi ossessiva – del dettaglio: due facce di una stessa medaglia che fanno del gentiluomo di Chiaia un autentico dandy, che porta a spasso con malcelata noncuranza i suoi abiti di taglio perfetto e, a contrasto, mai banale, camicie e cravatte di tessuti e fantasie splendidi.
Correvano gli anni ’30 e Napoli era una delle città più eleganti d’Italia. Serafini, De Nicola, Morziello, Gallo, Blasi e, poi, Rubinacci, Balbi, Piemontese: sono solo alcuni dei nomi di sarti più famosi. Un fenomeno, quello della sartoria, che assurge a vera e propria dinamica sociale: vestire da Renato De Nicola, per esempio, passando interminabili sedute di prova nel suo atelier di piazza Dei Martiri, negli anni dell’immediato dopoguerra, è un obbligo per poter entrare in quella che Camilla Cederna amava definire “la società”. Anche le giacche di Angelo Blasi e Gennaro Rubinacci, caratterizzate dall’elaborata libertà di taglio, diventeranno, nel decennio che precede l’ultimo conflitto mondiale, un segno di  appartenenza sociale, complici i dettagli impercettibili ai profani. A indossarle non sono soltanto gli esponenti di un’aristocrazia sopravvissuta a se stessa, per la quale il saper vestire è una condizione necessaria del vivere sociale nonché un modo di difendersi, ma anche i rappresentanti di una nascente élite industriale e intellettuale. Il conte Roberto Gaetani di Laurenzana pretendeva di provare l’abito stando seduto, per stabilire se anche in quella posizione “cadeva” bene. Poeti e pittori alla moda, autori di canzoni e giornalisti, commediografi e attori, giovani capitani dell’industria manifatturiera e dei trasporti, sono gli scintillanti protagonisti di una stagione dorata. Sono loro a portare alla ribalta e a imporre a un pubblico sempre maggiore una moda maschile che si è liberata dai consunti stilemi ottocenteschi e che guarda all’understatement britannico. Tra gli anni ’20 e ’30, sulla scia della moda inglese, anche a Napoli le giacche si accorciano, le linee si ammorbidiscono, i tessuti – anche quelli più pesanti – sono trattati con tale sapienza da risultare confortevoli e portabili. Un rapido rinnovamento dettato e imposto dall’altissima qualità artigiana dei nomi che si sono imposti sulla scena sartoriale partenopea. Riconosciuto di diritto quale capostipite è Salvatore Morziello che, fin dall’inizio del secolo, gestisce in via Chaiia con il socio Giovanni Serafini, la più importante sartoria maschile napoletana: è qui che vestono l’avvocato Porzio e il futuro primo presidente della Repubblica De Nicola, Edoardo Scarfoglio, Ernesto Murolo e Salvatore Di Giacomo. Gli abiti sono ancora rigidi, ingessati, pieni d’imbottiture e spalline. Morziello decide quindi di snellire le linee. Don Salvatore non usa il metro per prendere le misure ma si avvale del suo impeccabile colpo d’occhio. E incredibilmente, quasi per magia, l’abito che esce dal suo laboratorio veste alla perfezione. Tra i suoi lavoranti si segnala il geniale e abilissimo Roberto De Nicola che, una volta abbandonate redingote e imbottiture, sfoggerà tutta la sua maestria di tagliatore.
Tutti i grandi sarti che si sono susseguiti con il passare degli anni, fino ad arrivare agli Attolini, ai Blasi, ai Rubinacci, che hanno visto tra gli anni ’30 e ’60 il loro periodo d’oro, possono vantare un’ascendenza nel laboratorio di Antonio Gallo, Salvatore Morziello, Renato De Nicola.
Un’equilibrata commistione tra la magica arte del taglio su misura, l’eccellente tradizione artigianale e la spiccata vocazione creativa: questi gli ingredienti che hanno permesso alla sartoria napoletana di svilupparsi e imporsi sulla scena del costume quale fenomeno antesignano della moderna moda maschile.

Nessun commento:

Posta un commento