mercoledì 8 febbraio 2012

STYLE_Il tailleur: quintessenza d'eleganza informale
















Con la determinazione ironica che la contraddistingueva, madame Coco Chanel asseriva in una delle sue celebri massime “Con due tailleur neri e tre camicette bianche – una per la mattina, una per il pomeriggio e una per la sera – qualsiasi donna potrebbe conquistare il mondo, il cuore di chi ama ed essere sempre elegantissima”. Senza indagare troppo sui potenziali effetti sanciti dallo chaneliano pensiero, il tailleur è sempre stato considerato un capo d’abbigliamento naturalmente chic e dallo stile ricercato. Senza bisogno di troppi fronzoli, il working dress per eccellenza conferisce all’aspetto femminile quel giusto e insostituibile mix di seduzione e austerità, in una sorta di gioco degli opposti. Elegante e sofisticato gli aggettivi che meglio gli si addicono. E se per un uomo indossare un completo è una quotidiana costrizione spesso priva anche della più banale fantasia, per una donna diviene una cosa strepitosa dal momento che può scegliere il modello che preferisce o più le si addice. Vestirlo e non farsi vestire è semplice…si può scegliere tra la versione più classica, che arruola la camicia, e le rivisitazioni curiose e originali, come l’abbinamento a una semplice T-shirt bianca. Ad arricchire il tutto gioielli, trucco e parrucco; mentre per un tocco di sensualità finale, un paio di tacchi a spillo perfetti, a suggellare le note più intriganti. Ed ecco a voi donne pronte a lanciarsi alla conquista imperitura del mondo. Per le incontentabili infine, un suggerimento cool e moderno è quello di giocare con i due pezzi spezzandoli, portando per esempio la giacca con un paio di jeans e la gonna/pantalone con una canotta o una T-shirt. Al momento dell’acquisto è bene ricordare che ogni griffe offre una diversa lettura sul genere: se Chanel rappresenta l’eternità del capo, Dolce & Gabbana e Alexander McQueen ne esaltano il sex appeal, mentre Ralph Lauren e Giorgio Armani sposano la tradizione.
Venendo all’aspetto più patinato della sua esistenza, nella storia della moda il suo percorso è costellato di firme autorevoli e di grandi estimatrici, icone indiscusse dello stile senza tempo. Il tailleur che forse è rimasto più impresso nella memoria dell’opinione pubblica è quello rosa, dai risvolti blu, che Jacqueline Bouvier indossa il 23 novembre 1963 a Dallas quando viene ucciso suo marito, il presidente John Fitzgerlad Kennedy, seduto accanto a lei in macchina lungo il corteo per salutare gli abitanti della città. Nonostante sia stata la più giovane first lady, a lei va il plauso di aver coniato un “American style” caratterizzato per una semplicità apparente composta di particolari impeccabili, tessuti preziosi e tagli maestrali, e a cui il côté femminile di tutto il mondo non  ha saputo resistere, eleggendola legittimamente icona di buon gusto. Una partita giocata in squadra con i suoi amici designer europei: Givenchy, Chanel ma soprattutto Oleg Cassini, un russo nato in Francia, noto per aver trasformato un’altra grande dame - Grace Kelly – in un concentrato di raffinata eleganza. Uno stile da first lady, il suo, che ancora oggi viene preso a esempio dalle attuali mogli di capi di stato, Carla Bruni in testa. Ma ruoli politici a parte, il vero mito di tutta questa favolosa fiaba resta lui: il tailluer. Un capo su cui non si può ma soprattutto non si deve discutere, che regna per autenticità propria; il glorioso binomio giacca-gonna o giacca-pantalone: elegante e raffinato ma anche sobrio e sportivo, sempre e comunque nel rispetto di una congenita sartorialità. Un tempo, proprio in virtù del suo taglio particolare e rigoroso, era eseguito esclusivamente da un sarto da uomo: in francese per l’appunto tailleur. Al grande sarto inglese John Refern il merito d’aver realizzato nel 1855 il primo tailleur da donna, commissionato dalla principessa del Galles. Ma è grazie a Gabrielle Coco Chanel che diventa l’uniforme per la signora che lavora e non ha quindi il tempo per cambiarsi, senza però rinunciare a sentirsi sempre ordinata ed elegante (ecco spiegata  la frase d’apertura…). La sua versione più celebre è quella declinata nei morbidi tessuti in tweed, decorata dai bottoni d’oro e dalla cintura a catena. Negli anni ’60, sotto l’egida di Yves Saint Laurent diviene smoking da sera femminile, rivelando la sua anima più androgina e silenziosamente ambigua. Segue un decennio di contestazioni e il tailleur viene tacciato di essere reazionario, finendo nel limbo dell’arte del vestir bene. Per merito dell’italianissimo Giorgio Armani e delle sue giacche destrutturate, prive di imbottiture sulle spalle e sui fianchi, ritorna agli antichi splendori, attestandosi come irrinunciabile caposaldo di ogni qualsivoglia guardaroba femminile che si rispetti. Un mutamento stilistico parallelo alla concezione sociologica tipica di quel periodo: si è già oltre il femminismo e si ha bisogno di una novità chiara ed eclatante che attesti i cambiamenti di una società in cui le donne possono finalmente accedere alle stanze del potere, entrando dalla porta principale. Il tailleur e power suit divengono sinonimi, vantando nella cinematografia un pullulare di esempi in tal senso: Sigourney Weaver in Una donna in carriera (Mike Nichols, 1988), capufficio di una vessata quanto scaltra Melanine Griffith; Glenn Close in Attrazione fatale (Adrian Lyne, 1987); Susan Sarandon, avvocato ne Il cliente (John Schumacher, 1994); Meryl Streep, diabolica direttrice della rivista Runway ne Il diavolo veste Prada (David Frankel, 2006). Fotogrammi quasi agli antipodi degli edulcorati e ben educati toni caramella di Doris Day o dal bon ton aggraziato di Romy Schneider, a dimostrare che il tailleur ha ben oltre sette vite. Rigoroso nella forma, esce dalle righe con le più svariate interpretazioni, senza perdere di vista il fascino sublime della sua intramontabile eleganza.

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