giovedì 9 agosto 2012

PEOPLE_Cecil Beaton: raffinatezza per immagini



























Cecil Walter Hardy Beaton, fotografo inglese, padre del ritratto dell’alta società internazionale. Comincia a scattare immagini in tenera età quando ancora frequenta la High School Harrow di Londra, per poi proseguire al St John’s College di Cambridge. Il suo stile denota un volo pindarico nelle ispirazioni artistiche che passano dal manierismo quasi vittoriano di prima istanza – Dafne du Maurier, su tutti – alle pose “arrabbiate” del pittore Graham Sutherland e del poeta Auden. Amante del buon gusto e grande snob, è attratto dai personaggi famosi dei quali costruisce con cura i ritratti. Per decenni in Inghilterra ricopre il ruolo di fotografo ufficiale di corte, contribuendo a creare l’immagine di Mary, la regina madre, e di Elisabetta II. Nel frattempo, negli anni ’30, già celebre per i servizi di moda apparsi su Vogue, conosce e conquista Hollywood: infinita è la serie di divi e divine che hanno posato davanti al suo obiettivo per Vanity Fair. Tra questi, Buster Keaton, Gary Cooper, Lillian Gish, Vivien Leigh, Norma Shearer, Johnny Weissmuller, Marlene Dietrich, Marlon Brando, Audrey Hepburn, Frank Sinatra e il suo clan, Marilyn Monroe e, soprattutto, Greta Garbo. Come da lui stesso affermato, l’unica sua grande passione femminile, tanto da chiederle, invano, nel 1946, di sposarlo. Negli anni ’40, Beaton, che ha fatto della frivolezza e della raffinatezza i caposaldi della sua vita artistica e personale, viene chiamato alle armi: dapprima, gli viene chiesto di scattare le fotografie ufficiali della regina da mandare alle truppe e, poi, di ritrarre Winston Churchill alla scrivania ordinatissima, sigaro in bocca e sguardo sornione. Quasi inconsapevolmente, attraverso la sua arte figurativa, ha contribuito a una presa di posizione dell’America nell’ambito del secondo conflitto mondiale: la sua immagine di una bambina londinese, ferita durante un bombardamento e ricoverata in ospedale, viene pubblicata sulla copertina di Life, smuovendo le truppe americane all’entrata in guerra alla volta della Liberazione. Numerosi e celeberrimi i suoi lavori messi a punto durante il periodo bellico: dalla metropolitana di Londra, divenuta rifugio antiaereo, alla documentazione dei combattimenti in Nord Africa e Estremo Oriente quale inviato del ministero dell’Informazione. Finito il conflitto, Beaton può tornare al suo tanto adorato mondo internazionale e alla sua passione per l’arte figurativa, che ora declina anche nel cinema e nel teatro, ricoprendo il ruolo di costumista: Anna Karenina nel 1947 con Vivien Leigh; My fair lady a Broadway nel 1956 e, successivamente, l’omonimo film con Audrey Hepburn; Gigi nel 1957. Nominato baronetto nel 1972, realizza il suo ultimo servizio per Vogue sulle collezioni di moda dell’autunno 1979. Deciso a non fermarsi mai, Beaton ha sempre eseguito il suo lavoro con piglio e garbatezza, mettendo in luce gli aspetti più veritieri della realtà, colorandoli però di una dolce sfumatura, con la quale edulcorarli alla visione del grande pubblico. Le sue immagini rivelano una bellezza tutta particolare, parlano e dicono, coinvolgendo lo spettatore in una visione d’insieme e di dettaglio, di denuncia e di affermazione. Nessun dettaglio è lasciato al caso, ogni cosa ha motivo d’essere e d’esistere nel suo quadro d’insieme fotografico.  Come affermava Truman Capote “è la straordinaria intelligenza visiva che permea le sue fotografie ciò che rende l’opera di Beaton unica. Gli storici del prossimo secolo gli saranno ancora più grati e riconoscenti di noi”. Un talento visionario, il suo, che ha trovato una valida corrispondenza in una resa formale pulita e priva di ostentazioni: Beaton rappresenta la realtà, così come è, senza filtri visuali o metaforici. Il fenomeno viene colto nella sua essenza emozionale e come tale restituito allo spettatore, che può sentirne tutta la carica valoriale, vivendo in prima persona, anche a distanza di tempo, l’istante del momento. Perché, come affermava lo stesso Beaton, quello che conta nella vita è osare, essere differenti e, soprattutto, non essere mai pratici. In altre parole, lottare contro ciò che è ordinario: le routine, infatti, pur avendo predestinate finalità, sono le nemiche assolute della grande arte. 

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